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Patrizio Rispo a Capodrise per il libro di Paolina Abbate

Dopo aver chiesto un minuto di silenzio, in memoria della vittima dell’attentato di Brindisi e con una breve considerazione sul difficile momento che si sta vivendo e sugli effetti destabilizzanti di azioni criminose, sabato sera, Patrizio Rispo ha dato inizio al suo intervento, a Capodrise, parlando del difficile ruolo dei genitori – adottivi o naturali – oggi. È avvenuto nel corso della presentazione del libro di Paolina Abbate: “Maternità impossibile?”. L’attore, da sempre amico, sia dell’autrice che dell’Associazione marcianisana “Amici del libro”, è stato testimonial d’eccezione dell’ultima fatica dell’Abbate, insieme con la professoressa Caterina Vesta e il professor Pio Iannitti, alla presenza dell’autrice; egli è giunto nella chiesa di S. Andrea Apostolo alle 19,30, accolto da un folto pubblico di fans, dal dottor Angelo Crescente, primo cittadino di Capodrise, e dalla dottoressa Patrizia Vestini, sindaco di Recale, entrambi particolarmente sensibili alla diffusione della cultura sul territorio. Il noto quanto amato attore napoletano, quindi, ha parlato delle difficoltà che accompagnano chi si accinge a vivere il problematico compito di genitore, soffermandosi in particolar modo sul complesso momento dell’adolescenza, fulcro del libro “Maternità impossibile?”. Nel testo, che è autobiografico, il naturale sentimento di maternità, a coronamento di un’unione felice, si realizza, in un viaggio costellato di ostacoli quasi impossibili da superare, ma allo stesso tempo traboccante di un amore grande, che emerge proprio dalla ricerca infaticabile della maternità stessa.  La storia, vera ed essenziale, si snoda attraverso la vita di Leonia e Claudio – professori – a partire da quando entrambi giovani e forti, si affidavano alla loro fortunata unione, nell’immaginare un futuro da costruire insieme, mirato ad un naturale allargamento della famiglia, fino a quando, dopo vari aborti spontanei, Leonia e Claudio accantonano il loro sogno per dedicarsi anima e corpo ai giovani della scuola, diventando in molti casi dei genitori modello ma “virtuali”. L’imprevedibile incidente d’auto che investe Leonia, costringendola su una sedia a rotelle, cambia radicalmente la vita dei due coniugi, ma allo stesso tempo consente loro – nonostante tutto – di riscoprirsi più che mai complici e miranti ancora allo stesso traguardo: un figlio che oramai può solo essere adottato. Ancora una volta il monte Calvario si erge nel panorama di Claudio e Leonia. Essi, infatti, riescono con fatica a superare gli ostacoli burocratici e ad ottenere prima l’affidamento e poi l’adozione vera e propria di Speranza, una giovane di 16 anni che dovrebbe essere portatrice di un premio ambito e ricevuto dopo tanto affanno… Ma purtroppo l’entrare in empatia con Speranza si rivela – ben presto – una missione impossibile, dal momento che la giovane si chiude in un mutismo assordante e non riesce ad inserirsi nel nuovo e roseo mondo che le viene offerto, preferendo rispondere all’amore con ripicche, colpi bassi e tanta irriconoscenza! Pur affidandosi ad un finale che si apre all’amarezza del senso fallimentare del tutto, contrariamente ad ogni supposizione possibile e di natura diversa, l’autrice – protagonista si riscatta completamente proprio con la stesura e la produzione di questa storia, dolorosa e intensa, ma vera al punto da sollecitare il lettore a vivere senza mai arrendersi, confidando solo nell’arma dell’amore. Il punto nodale, l’incontro con Speranza, è quello che rimane aperto, insoluto, ma la prospettiva è di certo quella di un suo ritorno a casa, stavolta in un consapevole rispetto dei ruoli. Speranza, probabilmente, non è una giovane che non sa amare ma forse e solo una persona che non ha imparato a riconoscere e a dosare l’amore… lo dimostra il fatto che gli unici momenti “spensierati” e vissuti “nella coscienza del sè” dalla ragazza, sono quelli vissuti in compagnia della sorella più giovane di lei di un anno. Si potrebbe pensare, quindi, ad un risentimento – probabile – verso una società che non si è fatta carico di quelle sfumature che ledono la suscettibilità di chi soffre… In tale ottica, Speranza si può considerare interprete – certamente contestabile – di un mondo sconosciuto, quello delle case famiglia, in cui – purtroppo – molto spesso i si affida a persone non in grado di essere interpreti del vissuto dei bambini e degli adolescenti, precludendo in tal modo ad una donna la possibilità di realizzarsi come mamma.      

 

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Alfonso Alberico - Marcianise

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