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L’ansia di essere cristiano fino in fondo, “Ritratto di Angelo Narducci: giornalista, poeta e politico” scritto da don Peppino Merola

“Ognuno può intendere d’essere cristiano come meglio crede: ma una cosa è certa. Che la Chiesa è in agonia sino alla fine dei tempi e che agonizzare vuol dire prima di tutto combattere, intendere le ragioni, i colpi, la spada degli altri, ma anche essere consapevoli della forza che si ha in sé e la necessità di farla emergere dalla nebbia degli avvenimenti. Domani la vita potrebbe privarci, scrittori, poeti, pittori, giornalisti, delle mani, della parola, della penna, ma niente può privarci del nostro essere cristiani: tutto è subalterno a questa nostra vocazione d’essere cristiani, a questa capacità di essere comunità, Chiesa, che è viva, anche in quanto ognuno di noi, personalmente, è vivo, libero, responsabile. È il momento di una mobilitazione generale che non vuol dire integralismo, rifiuto di dialogo, rifiuto di comprensione, ma, molto più semplicemente, tende a rendere presente e visibile dentro noi stessi e nella storia quell’umanesimo plenario al quale siamo stati chiamati”. Così Angelo Narducci (L’Aquila, 1930-Milano, 1984), in un editoriale su “Avvenire” (17 febbraio 1973), cercava di richiamare all’unità i (politici) cattolici di fronte alla necessità di ricostruire una dimensione di Chiesa che ormai – siamo nel post 1968, il divorzio è legge, il terrorismo nero e rosso fa stragi senza pietà, la Chiesa è divisa in quella del dissenso, dei preti operai, dei cattolici per il comunismo – era solo un ricordo.
Alla figura di Narducci, giornalista (è stato direttore di “Avvenire” dal 1969 al 1980), deputato al Parlamento europeo (1979-1984) da indipendente della Democrazia Cristiana, intellettuale cristianamente impegnato, uomo di cultura e poeta di un certo rilievo, è dedicato il volume “Angelo Narducci e ‘Avvenire’. Storia di un giornalista, poeta, politico con l’ansia di essere cristiano” (prefazione di Angelo Paoluzi, Aracne editrice, 248 pp., euro 16,00) di don Giuseppe Merola, meglio conosciuto a Marcianise come don Peppino, viceparroco della parrocchia della SS. Annunziata e dottore di ricerca in Storia del Giornalismo presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione della Università Pontificia Salesiana di Roma; dove svolge anche attività didattica.
A venticinque anni dalla scomparsa di Narducci, don Merola ricostruisce la vita del giornalista con particolare attenzione ai quindici anni di esperienza ad “Avvenire” dove fu “osservatore di fatti assai importanti per la storia del nostro Paese (si pensi alla contestazione, al terrorismo, ai cosiddetti anni di piombo), del mondo (si pensi alla guerra in Vietnam, alla divisione nei due blocchi contrapposti Usa e Urss) e della vita della Chiesa (si pensi alle battaglie contro le leggi a favore del divorzio e dell’aborto)”. Il libro parte da una composizione di tempo e di luogo che riguarda la situazione della stampa cattolica in Italia e, al suo interno, i precedenti e la storia del quotidiano “Avvenire”, collocandovi il ruolo che Narducci ha svolto negli anni cruciali dell’avvio del giornale. Un ritratto che viene completato da tutta una serie di notazioni su una personalità che non si è limitata a svolgere una funzione di natura meramente professionale ma che, in essa, ha investito le qualità migliori dello spirito. Don Merola traccia il profilo di un uomo con la statura morale e culturale di un professionista che ha fatto onore al giornalismo italiano e alla comunità dei cattolici.
Ai due capitoli storico-biografici che costituiscono la prima parte del volume, segue un terzo di natura critica con la valutazione del linguaggio utilizzato da Narducci nella redazione degli articoli di fondo che per oltre dieci anni hanno costituito, come punto di forza, la linea politica del giornale dei vescovi italiani. È la parte originale del saggio, nella quale non si sono cimentati gli autori di altri scritti (pur meritori) di cui siamo a conoscenza. Le dimensioni stilistiche rivelate dall’analisi semiotica condotta da Merola rafforzano la convinzione di quanti, in vita e dopo la morte di Narducci, hanno ritenuto e continuano a ritenere che sia stato sottovalutato il peso, politico e culturale, della sua presenza nella pubblicistica italiana di quegli anni e della conseguente influenza sulla opinione pubblica.
In appendice, una raccolta delle interviste condotte dall’autore per ricostruire la vita di Narducci insieme a foto e documenti tratti dall’archivio personale della moglie Giovanna Annibale. Da questo percorso di ricerca affiora il ritratto di un Narducci in cui il giornalista, l’uomo, il cristiano sono legati al rispetto della verità, ai valori della famiglia, degli affetti, dell’amicizia nonché alla presenza nel contesto della vita civile.

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Alfonso Alberico - Marcianise

One Response

  1. chetempochefa
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